Arriva da Nord, percorrendo la via Flaminia, entra a Roma su un carro dorato seguito da un lungo corteo, che ricorda gli antichi trionfi, non ci sono immagini da esibire ma solo dragoni svolazzanti tessuti in filo di porpora. E il mese di aprile dell’ anno 357, quando l’imperatore d'occidente Costanzo II, figlio di Costantino, rende visita alla più grande metropoli del mondo antico.
Suo padre dopo la battaglia di ponte Milvio e l’uccisione di Massenzio, se ne è sempre tenuto a distanza, tanto da consigliare il figlio di stabilire la sede imperiale a Milano.
Roma è bellissima, un tripudio di marmi, di colonne, di fontane, di statue, in bronzo dorato o in marmo dipinto. Alcune tra loro sono antiche di settecento anni, eseguite dai grandi scultori della Grecia, Prassitele e Fidia, adornano porticati, piazze o la sommità dei templi, come quella della dea Cibele issata sul tempio di Agrippa, che fa da ingresso ad un edificio straordinario e irripetibile, il Pantheon voluto da Adriano per onorare tutti gli dei e le dee del mondo, nessuno escluso.
Il giovane Costanzo ha lo sguardo fisso perso nel vuoto, il viso rigido, il corpo pure, non degna di un saluto la folla che riempie le strade e le piazze, solo quando si trova davanti all’anfiteatro Flavio non può fare a meno di alzare lo sguardo per misurare l’immensità della costruzione, con i suoi audaci cinquantasette metri di altezza sfolgoranti di marmo bianco, custoditi da ottanta statue di bronzo dorato, regolarmente distribuite su ogni piano.
Indifferente passa accanto alla gigantesca statua bronzea del dio Sole, alta con il suo piedistallo in marmo quasi quanto il Colosseo, vede le magnifiche colonne di Antonino Pio e Marco Aurelio, transita lungo il perimetro del maestoso teatro da venticinquemila posti voluto da Pompeo.
Nel Foro, ai rostri di Augusto pronuncia un discorso al popolo romano, non si sa cosa abbia detto, niente di memorabile, la cultura non era il suo forte.
Poi prosegue la visita a piedi, cammina accanto alle terme di Traiano, attraversa l’omonimo Foro al cui centro vi è la statua a cavallo dell’imperatore e arriva al Foro della pace di Vespasiano, unico luogo di Roma con un pavimento non di marmo bensì costituito dalla semplicità della terra battuta. Su un lato vi è una grande vasca di acqua corrente che defluisce cantando bellezza e cultura e accanto ha messo le radici un immenso roseto, che diffonde un deciso profumo di fiori. Tutto è bianco: i portici, il soffitto di marmo, le colonne. All’interno del tempio della pace sono esposti antichi vasi corinzi e il candelabro in oro a sette bracci del tempio di Gerusalemme.
Rimane ancora un luogo da visitare ed è la curia Iulia dove si riunisce il senato di Roma, l’edificio è a pianta rettangolare come i templi sacri alle divinità, ospita da sempre la statua in oro simbolo di Roma, la vittoria alata. Sta in fondo alla sala accanto all’altare di marmo che a sua volta regge un bacile sempre in marmo, all’interno brucia l’incenso ed è dovere di ogni senatore di Roma rendere omaggio alla religione civica prima di ogni assemblea.
Costanzo s’infuria, lui imperatore cristiano di simpatie ariane non può tollerare questo affronto. L’unico vero dio è quello giudaico cristiano, parola d’imperatore. Ordina che l’altare della vittoria venga rimosso insieme alla statua. Immediatamente.
Roma in questo giorno di aprile del 357 cambierà il suo volto per sempre.
Ambrogio, vescovo di Milano, dall’alto della sua autorità ecclesiale ordinerà la distruzione dell’altare della vittoria. La buona novella si fa strada.
Annamaria Beretta
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